Residui Metamorfici

“Relitti alieni”

La ricerca artistica di Trusso parte originariamente dal fascino che gli procurano da sempre i relitti alieni nel loro esprimere la forza di strutture indistruttibili.
L’osso, la fibra del fico d’india, le pietre pomici, le lattine di scarto stanno ad indicare simbolicamente l’indistruttibilità della materia; quella materia viva che si fa occasione del dire all’infinito e mai potrà essere ricondotta alla concezione della scatoletta-lattina metafora del limite ideologico connesso alla morte.

Un tempo considerato simbolo dell’assise cosmico, ricorre nelle più svariate concezioni religiose compresa quella cristiana ed esprime ciò che lega e scioglie, laccio e nodo.
Nella sua opera non è un chiodo conficcato, è un chiodo esibito e decontestualizzato nell’ambiguità di essere un elemento spaziale che divide, indice astratto del legame-slegame. E’ il veicolo della luce non esente dal dolore.
Era un chiodo estratto da una trave del 1600, una vera rarità antiquaria restituito alla tavola moderna nella sua attualità letterale di oggetto di ferro e ruggine, un trionfo dell’acume e dell’inquietudine che emana fino a vanificare la tautologia che ci farebbe dire che un chiodo è solo un chiodo. E dunque perché mai sarebbe arte? Perché un chiodo non è un chiodo e l’illimitata parola narrante nel varco della domanda non risponde alle evidenze della ragione.

Ossa abbandonate dalla corrente del mare sulla spiaggia, levigate dal sale, sbiancate dal sole. Gli ossami, a volte lisci altre volte porosi, diventano per intervento del tempo e degli agenti atmosferici nell’artificio artistico una materia altra: un oggetto antico e insieme organico, pietrificato come un sasso o una roccia che raccoglie in sé il mutamento della vita in ancora vita, ovvero l’arte nel manifestarsi dell’opera.
Nell’artificio la combinazione improbabile degli elementi inventa associazioni assurde, talvolta impercettibili, come in Ossa in scatola, dove due femori ignoti paiono smisurati e fuori scala rispetto alla lattina in cui non potranno mai essere contenuti e sigillati.
La superficie bianca del quadro fa da sfondo come punto vuoto, la parentesi in cui si insinua il silenzio e la percezione.

Gli oggetti di metallo lo attirano per il loro valore residualeUn campanello dello spirito. L’attrazione sembrerebbe un sentimento incompatibile per manufatti industriali abbandonati come scorie e raccolti dall’asfalto ai margini dei percorsi quotidiani, quali sono le lattine ora schiacciate, ora accartocciate, in altri casi addirittura squarciate.
In questo incontro si mette in scena lo sconcerto, anche quello del gesto irriverente di sorprendere il passante nell’atto di raccogliere un generico rifiuto attribuendogli un valore di memoria ingiustamente tralasciato.
Lo squarcio, posto in rilievo sulla superficie, non permette che alcun discorso possa esaurirsi in se stesso.

La serie nasce come proseguimento delle Pleure.
Nel cervello qualcosa accade, l’origine di uno sguardo diverso. Il cervello è un ricettore che sintonizza l’alterità, è il dispositivo di traslazione di linguaggi che permangono fluidi, è una materia immateriale. Nelle opere emergono le forme come elementi tratti da un’eco di contingenze temporali che cambiano le strutture e le consistenze: metalli, spugne, concrezioni calcaree.

Sono trame, ragnatele galleggianti nel cromatismo differente del blu, del giallo, del verde, del viola; costituite da connessioni leggerissime dove le membrane funzionano da filtro osmotico di vite.
Fusione di oggetti incontrati, destinati all’evocazione.
Le anatomie, i corpi, le storie, i vissuti, restano lontani, posti altrove, irraggiungibili, e dentro ciascuna pleura il singolo respiro necessario all’eternità di un istante.

Le radici poste nella sospensione aerea del bianco risultano sganciate dal vincolo con la terra e si pongono totemiche in cielogalleggianti nell’etere.
Albero della vita e Crocifissione sono la memoria, la traccia narrativa nell’astrazione del racconto.
La croce simbolo di un’apertura all’ignoto e allo stesso tempo materia vibrante e libera nell’aria, mentre la pennellata di rosso appare insostanziale elemento di passione seppure in un distacco metafisico.
Il sangue e la croce restano concrezioni divise, il simbolo e la materia.