Un Selvaggio a Berlino – 2007/2008

UN SELVAGGIO A BERLINO
“Disinterventi Migliorativi”

E’ un ampio progetto di trasfigurazione dei simboli urbani.
I singoli disinterventi migliorativi agiscono sui volumi e sui cromatismi del paesaggio metropolitano, inventando l’Altra città: quella onirica che vive in un altro tempo nel quale la favola produce effetti rilevanti rispetto alla razionalità smembrata della Berlino post bellica.
Berlino è un’architettura di lembi culturali di memoria, alcuni residuali altri contemporanei. istruzione, frattura, separazione rimangono ombra ingombrante di un tentativo di Ricucitura difficilissimo del tessuto urbano.
Cromatismi, volumi alterati, irriverenze vegetali restituiscono la vita, la memoria al singolare rispetto alla monumentalità-denuncia che tende a ripercorrere le aberrazioni e i “trionfi della volontà”.
La città è memoria della tradizione espressa in un insieme di simboli che sono a loro volta una raccolta di segni e significati. Il simbolo non è mai astratto, è astrazione di concretezze o di pure realtà significanti.
Con il suo gesto l’artista desimbolizza il monumento rendendone irriconoscibile lo stesso simbolo e, attraverso il dissolvimento della stratificazione dei vari significati assunti nel tempo, l’opera si connota di un carattere astratto, al punto che in alcuni casi anche la lettura dell’immagine capovolta non perde di significato e di leggibilità.
Intervenire su una parte segnica forte della città significa portare l’oggetto stesso all’astrazione generando un disorientamento in colui che lo percepisce in quanto diviene luogo diverso e tutti i significati sedimentati nel tempo vengono sospesi.
Quello di Trusso è anche un lavoro di estrema libertà in cui non c’è cancellazione , il passato resta come pure la tradizione, ma la tradizione non diventa il futuro.
Ne risulta sottratta l’intera inamovibilità narrativa e storica e l’oggetto viene riscritto pur conservando la sua struttura originaria in cui non si nega la tradizione.
Un’alterazione della città operata con la leggerezza del “selvaggio” che in quanto privo di struttura stanziale fondante, è artefice di un racconto mobile e fluttuante lontanissimo dal concepire l’elemento urbano come manifesto del potere, in una dimensione mai militarizzata e priva di oppressi ed oppressori.